Crescere ed educare bambini con valori pacifisti in un mondo che è straziato da almeno 59 guerre diviene sempre più complesso, sia nella progettazione che nell’attuazione.
Accendiamo la televisione dove telegiornali e programmi di approfondimento proiettano immagini di bombardamenti e inviati di guerra snocciolano informazioni che rimandano continuamente ad un clima di tensione e paura dalle cosiddette “STAZIONI DI PACE”.
Dall’ottobre scorso il conflitto israeliano-palestinese si è nuovamente inasprito e dentro di noi, figli degli anni ’70/’80, questa è ormai una notizia che desta troppo poco clamore vista la dinamica belligerante che ha, negli ultimi 75 anni, devastato i civili di quelle terre che, in parte assuefatti ed educati al conflitto, vedono in esso l’unica possibilità di affermare la propria verità con atti di forza e supremazia.
Come se questo non bastasse l’avanzata della NATO e il continuo riarmo delle varie nazioni fa ipotizzare ad uno sfioramento del 3^ conflitto mondiale.
Quello che sembra poco chiaro però è che non stiamo giocando a Risiko e, che tutto ciò riguarda le nostre vite così come l’Ucraina e la Russia non sono solo delle nazioni invase da carri armati di plastica, ma veri avamposti in cui civili e non perdono la vita.
E della Birmania chi ne parla? Possiamo considerarla guerra la piaga che l’affligge? Siria, Nigeria, Etiopia potremmo andare avanti all’infinito e questo sgomento che sentiamo dentro di noi nasce dal mancato insegnamento dei due conflitti mondiali, che tutti gli anni onoriamo il 27 gennaio per ricordare al mondo e a noi esseri umani tutti, che le atrocità che i nostri nonni hanno vissuto non sarebbero mai più dovute accadere; così ci fermiamo ad osservare i nostri bambini e pensiamo che abbiamo fallito, sì, abbiamo fallito perché se non riusciamo ad educarci alla pace neanche in famiglia come potremmo farlo al di fuori di essa.
Maria Montessori diceva:”…se vi è una possibilità di pace nel mondo ella risiede nel bambino…”, e se potessimo averla qui d’avanti a noi, educatori, insegnanti e pedagogisti del nostro tempo, le chiederemmo, ma questi governanti che scelgono in pochi la sorte di popolazioni intere l’hanno mai avuta un’infanzia? E dov’è finita quell’empatia e quella capacità di rispondere con gesti di accoglienza e vulnerabilità tipica dei bambini?
L’unica nostra speranza è che nelle case di tutti noi cali un silenzio scevro dal giudizio e colmo di interrogativi che ci portino ad accorciare le distanze e provare a rispondere, nel nostro piccolo, con atti di gentilezza e disobbedienza che uno dopo l’altro come una valanga, possano uscire dalle nostre case e generare un onda di cambiamento…Non per noi stessi ma per riuscire a intravedere un futuro di pace per i nostri figli!